lunedì 19 ottobre 2009

CENERE DI QUADRO


Estrema provocazione nel mondo dell'arte pittorica




Milano: arriva la cenere di quadro
Dopo la “merda d'autore” la nuova provocazione nel mondo dell'arte è la cenere di quadro.


Era dal 1961, quando l’artista Manzoni presentò la “merda d’autore”, che si attendeva una provocazione di livello, e sembra sia arrivata (prima nella storia dell’arte). Hypnos (www.hypnosarte.com) pittore emergente e trasgressivo, ha presentato nella sua galleria, sette urne colorate nel cui interno ha riposto le ceneri delle sue opere più importanti, l’autore con questa performance, ha voluto rappresentare la morte dell’arte pittorica ed un invito al mondo dell’arte ad un rinnovamento coraggioso che non tenga presente lo strapotere dei mercanti dell’arte, ma il rispetto di se stessi anche se quest’ultimo dovesse scontrarsi con le regole di mercato.
L’autore della performance in una nota afferma: “Siamo ancora capaci di far fuoco e fiamme per salvare il salvabile? La mia reazione a un mercato dell’arte falso e ipocrita è così forte che sono arrivato a fare della morte dei miei quadri più significativi il terreno privilegiato del mio sentimento di libertà.
Bruciare le mie opere più importanti, non è stato un inno alla morte come fine, ma un invito al rinnovamento interiore dell’artista, e una protesta dura nei confronti del mondo dell’arte, troppo mercificato e addomesticato alle esigenze speculative dei mercanti.”

Francesca Triticucci



Link: http://www.hypnosarte.com

hypnos e la cenere di quadro

Milano: arriva la cenere di quadro
Dopo la “merda d'autore” la nuova provocazione nel mondo dell'arte è la cenere di quadro.


Era dal 1961, quando l’artista Manzoni presentò la “merda d’autore”, che si attendeva una provocazione di livello, e sembra sia arrivata (prima nella storia dell’arte). Hypnos (www.hypnosarte.com) pittore emergente e trasgressivo, ha presentato nella sua galleria, sette urne colorate nel cui interno ha riposto le ceneri delle sue opere più importanti, l’autore con questa performance, ha voluto rappresentare la morte dell’arte pittorica ed un invito al mondo dell’arte ad un rinnovamento coraggioso che non tenga presente lo strapotere dei mercanti dell’arte, ma il rispetto di se stessi anche se quest’ultimo dovesse scontrarsi con le regole di mercato.
L’autore della performance in una nota afferma: “Siamo ancora capaci di far fuoco e fiamme per salvare il salvabile? La mia reazione a un mercato dell’arte falso e ipocrita è così forte che sono arrivato a fare della morte dei miei quadri più significativi il terreno privilegiato del mio sentimento di libertà.
Bruciare le mie opere più importanti, non è stato un inno alla morte come fine, ma un invito al rinnovamento interiore dell’artista, e una protesta dura nei confronti del mondo dell’arte, troppo mercificato e addomesticato alle esigenze speculative dei mercanti.”

Francesca Triticucci



Link: http://www.hypnosarte.com

Hypnos visto da deliberis


Dopo moltissimi anni di astinenza, cioè dagli anni 70’ e 80’ la cultura italiana deve riscoprire quali nutrimenti vitali dell’arte, la pittura cosmica erede del surrealismo storico. Solo l’editoria più attenta ha presentato testi di questo movimento che non si è mai definitivamente compiuto, mentre invece è presente nella elaborazione critica soprattutto svolto dagli studiosi stranieri.
Già il surrealismo è stato mal collocato nel panorama artistico italiano e la cultura italiana ha sempre scartato il nodo di relazione per una lettura profonda di questa corrente e della sue motivazioni, nonché degli sviluppi in chiave estetica.
Nella ricerca del Di Benedetto l’arte cosmica è intesa come scontro di energia e di forze vitali, che si realizzano attraverso un impeto gestuale con il segno dei vortici; vi è uno sforzo notevole per una rilettura problematica delle motivazioni e dei fatti che hanno indotto l’artista a seguire questo percorso, per cui l’analisi delle opere deve limitarsi ad omologare una interpretazione del surrealismo in chiave psicologica.
La via seguita dal Di Benedetto è perciò quella di sviluppare non solo una analisi puramente stilistica, ma un operazione tendente ad isolare il valore dell’arte quale strumento interattivo, che ci risulta in definitiva non bene precisato e che provoca raccordi tra la pittura del surrealismo e l’arte cosmica incentrandosi sulla necessità dell’attrazione quale forma scatenante la ipnosi.
Come Freud aveva rinunciato all’ipnosi a favore delle libere associazioni del proprio lavoro di analisi, così Di Benedetto subordina l’automatismo e la stessa creazione artistica alla immaginazione dei vortici e del colore volti invece all’ipnosi, cioè all’attrazione incosciente delle proprie opere.
Questa è una facoltà che nasce proprio dall’opera d’arte del maestro, la quale servendosi dell’immaginario cosmico riesce a provocare quell’automatismo teso a condurre il suo scandaglio nel dominio sconosciuto dell’inconscio.
L’opera d’arte perciò si pone quale forza attiva che si lascia sedurre dall’osservatore, ma che poi riesce penetrare nel profondo inconscio ed a turbarne la nostra psiche.



Andrea De Liberis

la critica di Hypnos (Alfredo Pasokino)


Brilla una nuova stella nel firmamento della pittura

Gilberto Di Benedetto Il famoso psicologo e psicoterapeuta (in arte hiypnos) prestato all'arte pittorica folgorato sulla via dell'astrattismo informale.

Le immagini pittoriche così emotivamente coinvolgenti di Gilberto Di Benedetto, psicoterapeuta romano e sensitivo medianico senza aggettivi, che vuole raccogliere e raccontarsi per reimmergersi alle radici e nelle radici del proprio essere. Per mettersi in gioco, per abitare stabilmente la situazione di corto circuito tra il senso ancestrale della materia nella sua definizione cosmica ed il permanente tentativo di penetrazione; di carpirne l'anima e il segreto, il condensato ultimo, l'assurdo psichico teatro delle immagini. Per compiere un processo di rimitizzazione e prendere sul serio le figure dell'inconscio, riconoscendo loro la qualità di interlocutori.
Una necessaria rinuncia alla spettacolarizzazione, ogni suo quadro è un'avventura di esplosive scansioni di fiammate segni che, e di forme colore, a cui si concedono solo alcuni grumi di fisicità, rare estrapolazioni di materia pittorica, improvvise fibrillazioni dei segni cromatici, ambragite sequenze fioccose (2005), che ricordano le tele ulcerose di Burri, l'artista con la stessa materia di natura onirica, affida alle immagini il compito di parlare allo sguardo, con urgenza liberatoria di energie proprie. Per questo le medesime non hanno una funzione meramente esornativa, bruciante di cogliere oltre l'immagine il senso del messaggio personificante di una condizione altra, come contagio dissolvente, liberatorio, a volte centrifugo.
Corrispondenza, suggestione e volte inquietudine nell'impatto visivo, automatismo biografico, memoria, dualismo, dinamismo con l'essere accanto, prossimo al diverso. E' un'esperienza automatica che pone sulla tela una sorta di rappresentazioni figurali in dicotomia col proprio pensiero psichico, impressionanti, pregnanti ed elusive ad ogni percorso erratico che vorrebbe rendere incomprensibili nel tema, i contenuti, perché intossicato dai pensieri. Ma anche affermazione, voce dell'urgenza del flusso comunicativo, libera dalle briglie della composizione concettuale, lasciare una traccia non solo verbale ma contribuire a dare forma alle emozioni (arte), a ciò che si è presentato. E infine, nulla di tutto questo, la tentazione di concedersi ad una fredda successione di algide illibatezze estetiche, rimanendo aggrappati alla figura.
Idealità di un supporto d'anima testimone di incredibili accadimenti. Sulla via dell'astrattismo informale, Gilberto, artista nei suoi snodi più drammatici, non richiede solo l'adesione a una filosofia di archetipi junghiani, ed un'etica dell'arte e della comunicazione, ma anche di possedere, con la complessità dei processi comunicativi legati all'arte, gli strumenti conoscitivi indispensabili, per confrontarsi con l'oggetto dell'incontro. A non ridurre a pura tecnica la pratica della comunicazione.
Nelle sue opere, ritornando ai punti di tangenza tra le varie espressioni, la pluralità dei soggetti rappresenta l'affermazione di proiettare sulla tela nuovi moduli evocativi, ricchi di gestuale affermazione segnica di campi di forza dell'energia. Inedito fondamentale atteggiamento di aggredire il telare, non spazio virtuale, ma reale supporto di visioni capaci di influenzare con irruenza la mente dell'osservatore, di chiamarlo in causa, non farlo accomodare ma di produrre un'osmosi di quesiti interrogativi pre-divinatori, che toccano tutte le stazioni più importanti del tragitto umano.
Ciò scaturisce anche dal carattere eminentemente istantaneo dell'informale: l'opera è quasi una scrittura privata, un dettato inconscio dell' io artistico, una presenza occulta che si cela dietro ai colori rutilanti. E si palesa al di la della visione metafisica ancestrale onirica dell'essere.
Il suo desiderio di proiettare all'esterno entità e simboli vitali, con la predisposizione di una trance-fauve, di tumultuoso trasporto espressivo, di vivace componente umana di energia liberata autonomamente dal profondo principio trascendente un io inconscio, per cui il colore diventa icona-missile, senza distinzione fra pittura e segno, anzi di segno graffiante, di effusivi evocativi cosmi dimensionali in combustione inestinguibile, travolti dal caos primordiale, caleidoscopi fauves di ritrattismo antropomorfo, che si intrecciano e si sfiorano fra loro, quasi sospesi nello spazio di un invisibile bacinetto igneo dell' introspettivo inconscio umano, sottratti alla forza di gravità.
Queste figure e altre, cariche di simboli ancestrali, recuperano l'empito espressionista di un Emili Nold e l'eco metamorfico ribelle di un Paul Klee, e si ricollegano a componenti affabulanti di mondi, in tipologie e loro forme di interazione, all'estremo confine di arte cinetica, le cui scene si fondono dialetticamente fino al precipitato morfologico di un'arte multimediale.
Evidenziano la volontà di comunicare mediante la volontà di una trance istintiva, attraverso un racconto che ha fatto tesoro di una tradizione degli antichi testi, ad icone ieratiche spinte ai limiti dell'astrazione informale, ad uno psichismo esasperato, proiettato con forte esigenza plastica di superficie sull'opera, trasmettendo al fruitore attento ma attonito, che spesso subisce uno spiazzamento di coscienza, per la codificazione di iconografie concomitanti e di contaminazioni che investono sia gli aspetti informali che tecnici, un pathos che non viene mai meno.
Tra l'altro, indicativa è The Michael's Gate 2007. Ed un coacervo rappresentativo di energie cosmiche endogene, espressive di entità astratte che le abitano, che si manifestano e comunicano attraverso il colore, (2009) di cui ogni elemento strutturale, come guizzo segnico-cromatico di una fiammata inestinguibile, evidenzia il proposito di collegare il passato con il futuro, verso un'ascesi laica da ogni presupposto letterario, abitata da considerevoli apparizioni
affacciate e riflesse quindi dal pennello alchimista del Di Benedetto. In cui l'Universo totale (oggettivo e intersoggettivo-inconscio), riacquista il suo stupore e la sua luce originaria.
Pittura senza nessuna concezione concretista ha scelto nell'esprimersi, e dunque diventare una pittura filosofica per di svelare al meglio le sue nature; da tutto questo, trae energia di sé, una forte energia esplosiva come un ultimo spasmo, come il plasma di un vulcano ... prima di spegnersi: è ora. L'esperienza di Gilberto è sufficientemente profonda da essere conservata, finche non cade come in sogno. Immagini che potrebbero definirsi astrattamente come mezzo di estrinsecazione tra angeli e uomini. Ma che volta a volta potrebbero assumere concretamente, a seconda dell'associazione mentale, richiamata come apparenti, castelli di sabbia, feticismo, qualcosa di apparentemente inanimato, volto a sostituire reali scambi tra il giardino dell'ombra che abita in noi, e la capacità di stare in mezzo alle incertezze, ai misteri, e ai dubbi ... Come quella di stare accanto agli altri e a noi stessi, senza muoversi, accettando di non capire e che l'altro sia quello che è. Come per la musica, l'abbaglio per un solista é dilatare il proprio ego, dimenticando che la partitura è opera. Come modello e modulo di inquietudini, non basta esistere, bisogna avere una.
La solitudine fa crescere la paura e ci inventiamo persino nemici comuni per credere di essere uniti e solidali.
Preferiamo un encefalogramma piatto ai sussulti di un cuore. Il cerchio a noi si stringe, lo abbiamo stretto fino a isolarci. E rimaniamo soli, e sempre più. La solitudine ci ha ridotti a una vita vuota senza pensiero. Una politica dell'esistere che non scalda il cuore, che non spinge le persone a unirsi, ma le divide, una per una con l'indifferenza.
Contemporanei nel nostro viaggio mentale, di vuoto, al di fuori degli stimoli della realtà.
La pittura di De Benedetto è lo specchio interrogante di questa coscienza, come cartina di tornasole di questa reazione: più ci sentiamo soli e più ci aggrappiamo a idee astratte, e vaghi come identità. Vivere molte vite nell'arte, è analisi e terapia al contempo. Ogni suo quadro e aperto al presente, è sempre parvenza d'identità: l'è sempre un altro!

Il pennello lungo traccia dei segni che si compongono in immagini, in sfumature di colore, la mano si abbandona a quei segni vorticosi dinamizzanti che scivolano rapidi istintivi, sicuri e i segni paiono note e suoni kandiskijani interni che fuoriescono spezzati e cacofonici, strumentali. Ci torna in mente Alberto Burri, ma su quelle grandi lacerazioni sui sacchi e plastiche bruciate, c'è la presenza della materia che si squarcia e si scioglie; c'è l'essenza della presenza umana.
L'uomo non esiste più per Burri, è stato inghiottito in quei crateri che solitari giganteggiano sulla superficie dell'opera. Un discorso attento impegnativo, va riservato all'autore strettamente contemporaneo, l'io di Di Benedetto.
L'artista si rinchiude in sé, diventa autoreferenziale, si dibatte, prende mille volti..., dichiara la propria costanza psichica, scopre le sue scissioni, affonda nella dispersione di un io diviso, una vertiginosa apparente frammentazione...; ma se acquista profondità psicologica, l'io perde in esemplarità ideologica, in solidità concettuale. Preferisce sottolineare i limiti, ciò che è inafferrabile, indicibile. Spesso, l' non può afferrare le origini della sua forma mentis, se non attraverso l'io di Gilberto è uno, è l'Occidentale tutto, anche in terra straniera. La sua storia, non più come entità Assoluta, ma come Relatività, perché si tende consapevole all'esistenza di altre . Ritrova il significato di dipingere al di là di tutte quelle retoriche accademiche e pseudo-filosofiche. Dipingere, ora per lui, è testimonianza di una volontà di ricerca, oltre alla storia finora vissuta, che Io, uomo avevo per il come mi ero strutturato, in questo modo e che possibilità avevo, una volta capito di propormi l'Altro! Non più il tradizionale monologante dei pittori volubili e narcisisti, ma la messa in scena di tanti io, ciascuno che parla una lingua diversa, con abitazione comunitaria del proprio inconscio, con forza di potere e centralità propria evocativa, sufficiente per parlare agli.
Per gli altri. Ma il suo messaggio - da lingua di tutti - è diventato potere di nessuno. diverso da quello attuale. Fare l'opera e rifare l'uomo-artefice, è identica cosa. Per Di Benedetto l'Arte ora, è creazione di se stesso. Ogni immagine è l'essenza, anche antropomorfa dell'entità che la fa! L'altro diventa indefinito, gli altri sono tutti e nessuno (Il Guardiano della Morte). C'è difficoltà nell'analisi critica, di agganciare la nebulosa massa anonima, dove non c'è il, col suo nome e il suo volto. Lo sbandamento dell' io diventa lo sbandamento del linguaggio pittorico.

Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagini - dichiara Di Benedetto a proposito del suo percorso di autoanalisi grafica - e cioè a trovare le immagini che in esse si nascondevano, mi sentivo interiormente rassicurato. Tra il senso ancestrale dell' iconografia delle forme pensiero e delle forme-colore, intese nella loro definizione cosmica, provenienza oscura, buio dell'inspiegabilità universale, e il permanente tentativo di penetrazione, fino alle cateratte del senso dell' io profondo. Per carpirne l'anima e il segreto, e il condensato ultimo : l'emozione informale.
Non vi è salvezza se non si parte dall'immagine. Le stesse continuano a identificarsi con figure e cromatismi nelle registrazioni di istintuali visioni emotive di profonda inquietudine, agganciate alla pura idealità, non certo con la pretesa di produrre grande arte, ma piuttosto dall'esigenza di dare forma alle proprie intuizioni, di oggettivarle senza che vada persa quella concretezza che apparteneva a loro sin dall'origine: un esplosivo informale creativo di nitore cromatico purissimo; riproponendo le sue angustie, la sua ricerca di identità come urgenza inestinguibile.
Non importa se l'immagine non comunica l'evento , altri mezzi sono preposti allo scopo... tra cui, l'indotto emozionale del suo potere: Io l'ho provato e la mia vita è cambiata, informano i lettori web. Ciò che importa è che liberi le più nascoste, le mostri a se stesso, le maturi e restituisca la Coscienza dell'Unità, che dispersa nella notte del dualismo conflittuale, non è morta, alla dimensione del reale-temporale che avanza, quella al di fuori della processione di cause-effetti nel . Vivere molte vite nell'arte, così è come evocarle, senza nemmeno sfiorare un autoritratto biografico convenzionale. Si può mettere uno specchio a terra, come ha fatto il giovanissimo Emilio Vedova, comunque l'immagine che l'uomo ha di sé, nella pittura, è comunque truccata, verità illusoria, nicciano gioco a rincorrersi, molto più vicino ai miasmi pericolosi della psicanalisi freudiana. Lo ha intuito uno psicoterapeuta-pittore come Di Benedetto, richiamando la memoria sui versi di un poeta come Arthur Rimbaud, Je est un autre, io è un altro, che non a caso rifugge dal fascino della pittura iconografia dell'autoritratto: l'io non sono più io, liberato da se stesso, geloso di interpretare nell'arte molte vite.
Una realtà intersoggettiva, comunitaria che funziona molto meglio di tanti discorsi iconografici e iconologici, biografici sull'identità dell'autore di un quadro, e il poco indagato confronto tra l'io e gli altri, stile, anima, a tu per tu. Non ancora sarebbe il titolo appropriato per riassumere tutti i suoi quadri... e quelli a venire! Stante a significare che l'immagine non ha ancora raggiunto la sua totale pienezza espressiva, e le implicite valenze evocative atte a liberare quelle Entità archetipe inconsce. Gli interrogativi sono ancora molti e inquietanti, pari alle stesse sue emozioni informali, come sempre è Picasso a dare il tocco di genio che abita in noi: aveva intuito che diverrà il truccatore e lo struccatore, lo stuccatore dell'arte moderna, serissimo attore che esprime se stesso, uomo: Io, altri e l'arte.
Di complice partecipazione emotiva, le immagini pittoriche di Gilberto, continuano a identificarsi come figure iconografiche... Immagini quasi figurali nella percezione comune visionaria di figure con l'esigenza che qualcosa da loro emerga, presenze senza quasi esserci forma, loro progettualità compositiva e ironicamente sottoposte ad uno sguardo che le restituisce come residuo indistinto, a giusti rapporti tra materia e tensione emotiva, forza implosiva ed effusiva, reattive e metamorfiche.
I concetti conservano sempre un legame con le immagini da cui, per cosi dire sono emerse, a conferma di un atteggiamento radicalmente rispettoso nei confronti di ogni riduzione della vita simbolica a modelli di interpretazione causale. Se Gilberto si fosse fermato alle emozioni, forse sarebbe stato prigioniero dei contenuti dell'inconscio.
E non è un caso che, alle dominanti archetipe intersoggettive, egli abbia dato nomi fortemente evocativi. Non si tratta di concetti drammatizzati, quanto di esperienze originarie. Non solo la visione interiore, ma spesso anche il gesto precede il pensiero. Un suggestivo repertorio di opere per compiere un processo di rimitizzazione e prendere sul serio le figure dell'inconscio, riconoscendo loro la qualità di interlocutori. Ogni quadro un'avventura, la riduzione dell'uomo alla maschera, lo svuotamento progressivo dell'interiorità a favore dell'immagine. E anche il tema della memoria, tanto che si incrocia con quello dell'alterità.
E' incredibile per chi si occupa d'arte, ritrovi tra nomi d'eccezione i versi di un poeta francese, adolescenziale quanto sovvertitore di verità e luoghi comuni come , ed anche declinazioni diverse della stessa nozione di verità, che tende sempre più a coincidere con una realtà intersoggettiva, comunitaria, riferibile solo alle stanze dell' profondo umano.
Così è ascoltare gli altri per potere essere io. Questa dimensione dell'ascolto reciproco. Quello del cuore, con i suoi silenzi parlanti... e l'ascolto esterno, per capire se stessi, declina per Di Benedetto un transfert-trascendente, una trance di trasporto: l'essere, l'apparire, la verità e le maschere; l'arte e il suo consumo pubblico si fanno facilmente metafora. Questo apparente suo sacrificio della soggettività, diventa la condizione indispensabile per affermare la necessità di un percorso e di un obiettivo condivisi. Questa sua dimensione dell'ascolto reciproco, in un contatto continuo, fra l'arte e la sua lettura - tra chi dà e chi riceve - senza nessuna messinscena, richiede sensibilità e senso di civiltà nella conversazione, che impone le proprie regole: attenzione, concentrazione, fede e attesa. della comunicazione, getta lo scandaglio nel lago più profondo del fruitore. La dialettica tra individualità e umanità, fra autonomia e affinità e omogeneità nelle qualità reciproche in sintonia.
Sembra quasi porsi come il paradigma di una cultura ideale, con l'immediata percezione della differenza tra cultura ideale e cultura reale. Tale controllo è difficile per chi è portato a considerare al proprio posto il proprio. Non c'è pittore, sia pur nel controllo della propria professionalità, che quando ha iniziato a dedicarsi alla tavolozza e al cavalletto, non abbia pensato di diventare un genio, soprattutto in un Paese come l'Italia, che nelle proprie scuole di formazione, nelle Accademie, ora anche nell'Informatica, coltiva il mito del, del genio precoce, dell'artista incompreso. E quanto l'accumulo della disillusione dei mancati solisti del pennello, sia personalmente frustrante e socialmente paralizzante. Quando l' di un pittore si trasformi in epidemia che contagia gli . Perché l'arte, in genere, è una disciplina regolata dal più palese principio gerarchico, quello della qualità. Si vede e si sente. Non si può per esempio nella musica, raccontare a parole, ma si intende perfettamente. L'abbaglio accecante per un artista è dilatare il proprio io, nel più irrefrenabile dei propri deliri di onnipotenza.
Ogni quadro è un'esibizione, un confronto, l'attesa di un giudizio. Mentre il gesto della mano può impressionare gli osservatori, la qualità dell'esecuzione, vale a dire, l'aspetto del dirigere l'impianto della composizione è indipendente da ciò che l'artista fa credere ai presenti.
Dice Di Benedetto: il primo passo per dipingere bene è... un passo indietro! Ascoltare gli altri, nel presente come nel passato, le mille voci che animano il proprio sé profondo, per capire se stessi. Per potere, forte espressione di vita interiore.
L'incredibile percorso pittorico dello psicoterapeuta - pittore, mostrano la straordinaria capacità di penetrazione, di svelare gli aspetti inediti e profondi della personalità informale nell'astrazione del sé individuale, al tempo stesso persino rivelatore di dinamismi e transfert esterno degli infiniti soggetti vitali, abitatori dell'animo umano, Anime spogliate e pronte con la compostezza dello spirito classici più puro... Il miracolo, nella semplicità dell'astrazione rivelata, il potere del risveglio creativo dell'Assoluto filtrato nel relativo umano, aspirazione all'ascesi di una scala occulta di energie delle sette note.

ALFREDO PASOLINO
Critico internazionale e storico dell'arte (2009)

MICHAEL'S GATE

La pittura archetipale
Un nuovo orizzonte di senso per la pittura

Elio Mercuri, critico d'arte internazionale presenta la pittura di hypnos (Gilberto Di Benedetto).

La ricerca di Gilberto di Benedetto, Hypnos, muove all’interno dell’informale con la scelta decisa della pittura come linguaggio del profondo sul rapporto sguardo, emozione, mano nella simultaneità che svela l’immaginale. Le sue opere sono crateri aperti dall’esplosione di un vulcano che apre la terra, il muro nero che occulta la terra è fuoco, il suo rosso amico, energia che provoca vertigine. Il rosso-eros che da comunicabilità e libertà ai vuoti interiori, a tutto ciò che dentro di noi non diventa vita ed è quotidiana tensione e sofferenza. Poi, la intensa e tenace ricerca di attivare i poteri di una sensibilità e personalità. Particolari, dono di natura attraverso lo studio, l’esperienza, delle scienze umane e delle scienze occulte; del pensiero e della magia per pervenire alla verità dell’esistenza.
Non lascia intentata nessuna strada per liberarsi dall’ “errore” nel “sentiero interrotto”, dal destino; risposta alle interrogazioni inquietanti dei giorni, varcare le soglie dell’oltre, nella sfida sull’orlo dell’abisso.
In questa ricerca, di trovare la concentrazione capace di azzerare l’eterno (il nero) e aprire al viaggio studio. Nel messaggio dell’araba fenice, di oltrepassare i confini; incontra l’ipnosi e il potere dell’ autoipnosi che permette di dare visibilità al linguaggio dell’anima (Lacan ha sostenuto che l’inconscio è strutturato per immagini) e aprire nuovi orizzonti di senso per la pittura .
Dal primo percorso della stagione informale attraverso l’autoipnosi elabora la nuova dimensione della sua pittura che per riferimento alla psicologia archetipale di Hillman (autore fondamentale per Hypnos) noi definiamo “pittura archetipale” capace di dare espressione-immagine, oltre io segno all’anima.
Lo stato di ipnosi gli permette di dare forma a tutto ciò che nella quotidianità è informe ed il nostro inconscio, cuore di tenebra, linea d’ombra, nero e non il luogo dell’incontro con l’infinito (l’inconscio come infinito di Malte Blanco) e riuscire più che la formula della matematica e i simboli delle scienze a delineare la logica della simmetria, che ci consente di convivere non più nella scissione e nell’occultamento ma nella verità.
Ha scelto il nome Hypnos, il sonno, per quel legame intimo con “Thanatos”, che ci riconduce nella liberazione dalla fenomenologia, all’archetipo e nell’ “esserci”così come siamo esistenza, provare il brivido dell’Essere, la totalità, l’immanenza in ogni manifestazione ed ente nella dimensione tempo. Il colore, nella sua dialettica di rosso e nero è luce che apre le prospettive dell’Infinito.
È il segreto e la magia della pittura come questa esperienza attraverso l’azione della mano si completa e riveli la sua originalità pur nella continuità con la storia dell’arte.
Guardare queste opere richiede un tempo lungo: è necessario andare oltre l’attrazione immediata, il sortilegio dello sguardo; assorbire il brivido dell’emozione, trasformare la caduta della vertigine in meditazione e concentrazione nel viaggio dentro a seguire quella luce che allarga spari nell’infinito notte e nella nostra esistenza dai conflitti, sedati dalla comunicabilità, dell’anima ci introduce al mistero cosmico, nella polarità che sostiene ogni presenza, del cielo e del quotidiano, dell’assoluto e dell’effimero; della precarietà della morte e dell’eternità della vita.
Allarga i poteri e i confini della pittura in questa emozione dell’ipnosi che prende corpo oltre l’emozione dei sensi nella rivelazione della verità.
E' l’arte a rendere possibile questa esperienza, la forma più alta di conoscenza concessa all’uomo prima di compiersi nel suo destino .

Elio Mercuri